Lo chiamano ‘O Sparviero poiché non si è mai fermato di fronte a niente e a nessuno, e l’entusiasmo è la forza sua che lo aiuta a combattere le avversità della vita in maniera propositiva e soprattutto costruttiva.
Nato a Napoli nel 1959, Patrizio Oliva è un ex pugile italiano campione olimpico di pugilato a Mosca nel 1980, nonché campione europeo EBU nei superleggeri e welter, ed ancora campione mondiale WBA nei superleggeri.
Premiato con medaglia e pergamena nella città natale dei mitici De Filippo, Sofia Loren – «Io non sono italiana, sono napoletana!» – Totò ed altri illustri ancora, lo intervistiamo per l’incontro «Metti una sera al Santuario» direttamente nel Santuario dell’Immacolata a Chiaia di Via F.lli Magnoni. Decisamente un bel momento artistico accompagnato dalle melodie con accompagnamento – chitarra del soprano Tania Di Giorgio, in compagnia ancora d’alta poetica e teatralità, da parte dei numerosi ospiti premiati pure loro in un salone gremito assai.
Affabile ed estremamente gentile, Patrizio Oliva nella solarità del suo bel volto scolpito, mette ad agio le persone di fronte raccontando dei valori dello sport di cui ne è ambasciatore.
Ma lei, nel corso della sua professione ne ha più prese oppure più date?
«Beh… i risultati dicono che ho più dato. Su 155 incontri ne ho vinti 150 da dilettante a professionista, quindi… più date!»
E ride ironico infilandosi poi le mani in tasca. Oppure pugni, se preferite!
Nel frattempo proseguiamo domandandogli delle soddisfazioni migliori.
Logicamente avrà combattuto in ogni parte del mondo!
«Ho lavorato a lungo in America, nel Canada, Russia ed altrove, ma è proprio in Italia che ho svolto gran parte della mia carriera visto che ero richiesto dai comuni italiani e moltissimo dalle televisioni.»
Qualche ricordo americano ce lo racconta?
«Come no, ci mancherebbe! Da loro mi trovai decisamente bene negli anni ’80, tempi della ‘Little Italy’ con seguito delle loro tradizioni portate ben appresso. Sai che i napoletani nati là parlavano solamente napoletano? Oggi purtroppo i figli d’immigrati italiani non conoscono nemmeno una virgola di questo, avendo dimenticato i nostri usi, il nostro folclore, senza celebrare più le belle feste di prima in onore di San Gennaro, Sant’Antonio ed altro ancora. D’altronde… si sa, i nuovi giovani hanno altro in testa.»
Sembra che questa America le sia rimasta nel suo cuore.
«Come no? Ci vado regolarmente due volte l’anno; proprio adesso sono tornato da New York in visita da mia figlia Alessandra che è vice-console proprio a Nuova York. È stata una gioia immensa abbracciare l’amatissima nipotina e Alessandra che si trova benissimo là. Una ragazza in gamba, tostissima, che sta alla Farnesina come funzionario del Ministero degli Esteri in missione. Precedentemente operava nel Ghana.»
Quando si sposta, con la lingua come va?
«Me la cavicchio!»
I luoghi preferiti?
«Mi piacciono molto i loro ristoranti italiani, la carne loro è buonissima… e poi via in battello ammirando la Statua della Libertà – emozione sempre grandissima – come del resto anche per il Ponte di Brooklin, Manhattan, Times Square… ed altro. C’è sempre tanto da vedere e rivedere con estremo piacere.»
Bene, veniamo ad altro. Ricorda il suo primo avversario in terra americana?
«Mamma mia, è trascorso tanto di quel tempo! Tuttavia… il primo match da professionista con quel ragazzo… Burton, sì…, ma non era un titolo, bensì un match per farmi conoscere dagli americani. New York a quei tempi era una terra affascinante, bellissima, oggi è cambiata moltissimo. Meglio, peggio, mah, d’altronde tutto cambia!»
Attualmente di cosa si occupa?
«Di tante cose, Carlettì. Nel mondo dello sport sono allenatore della Nazionale “Under 15”, ho poi una palestra assieme all’altro olimpionico Diego Occhiuzzi dove accogliamo gratuitamente i disagiati, facendo pagare una retta decisamente più bassa nei confronti di altre palestre. Che dire ancora? Che ne siamo orgogliosi, che è bellissima e che vengono praticate tutte, ma proprio tutte le discipline sportive, fitness compreso. Non dimenticherò mai d’osservare che lo sport è un diritto di tutti!»
In questo vicolo allegro e colorato, caratterizzato da panni appesi all’aria, immagini religiose poste nei vari angoli della città con finale di pasticceria strepitosa giù in fondo che guarda il mare, la curiosità nel vedere da vicino Patrizio Oliva è fortissima, ricordando che l’ex boxeur, a Napule, è conosciuto ed amato come Maradona.
Immancabili, di conseguenza, persone giovani e più maturotte avvicinarsi benevolmente mentre continuiamo ad intervistarlo. «”Uhèèè, Madonna mia… guadda ci stà, Patrizzziiiio!»
E tutti corrono, bimbi compresi, per i vari selfie.
«Dopo, dopo, ‘ragà’!» – risponde – ed allora tutti in fila aspettando d’essere immortalati accanto al loro idolo.
Riprendiamo facendogli notare la grande serenità che lo contraddistingue, unita alla grande forza d’animo. Presumiamo quindi una vera e propria carriera stellare senza rimpianti.
«Rimpianti? Quando mai! Ho vinto tutto quello che c’era da vincere e quindi ben volentieri mi sono dedicato ad altro facendo pure l’attore di teatro, scrivo libri, mi chiamano al cinema e, prossimamente, uscirà la mia vita su Rai 1.»
Quindi soddisfazioni belle e tante!
Ma veramente la vita è stata così generosa con lei?
«No, no, ho avuto pure io le mie belle difficoltà. Grosse ma non insormontabili, ecco perché non ho mai smesso di lottare, pensando che la vita deve essere vissuta nel miglior modo possibile. Una delle motivazioni che mi ha spinto nel correre verso la strada giusta è stata la perdita di mio fratello… già, lui 15 anni ed io 12. Un dolore immenso. Sul letto di morte gli dissi che tutto ciò che avrei fatto nella mia carriera lo avrei dedicato a lui. Ho combattuto l’onore della sua morte senza fermarmi minimamente. Potevo fare altre cose, ma campione del mondo lo sono diventato e quindi va bene così!»
Inevitabile la lacrima di chi l’ascolta mentre scende sul pavimento del Santuario di fronte.
Un ricordo che ha scosso anche il nostro campione, nonostante l’attimo dopo, avanza con sguardo forte e fiero guardandoci fissi negli occhi.
Le sue impressioni sul mondo odierno.
«Ehh, un mondo purtroppo dove buona parte della gioventù è allo sbando… mancano valori, di conseguenza i ragazzi vengono attratti da falsi miti portandoli a perdersi. Le istituzioni ci sono, bisognerebbe tuttavia fare di più, essendo maggiormente al loro fianco. Essere positivi aiuta, ringrazio di cuore pertanto questo Santuario a Chiaia che mi ha ospitato premiandomi, e che tanto si prodiga per il recupero di ogni forma di disagio, attivandosi ulteriormente anche nei vari settori culturali.»
Decisamente una buona parlantina. Se le offrissero di candidarsi politicamente accetterebbe?
«No, con tutto il rispetto non accetterei proprio. Non amo la politica… non è per me poiché troppe persone si compromettono, promettono e non mantengono. Così non va bene.»
La sua Napoli? Più gioie o più dolori? Ed ancora il suo pensiero sulla fiction “Mare Fuori” con tanto di nuove puntate sempre pronte per le stagioni successive.
«Dunque… fiction come “Gomorra” non è che fanno diventare criminali i ragazzi, anche se i rischi d’essere simulacri d’esaltazione per chi vive in tale ambiente è palese. Parliamo di racconti accaduti realmente, con storie romanzate ulteriormente per accattivarsi ulteriormente l’interesse del pubblico. Però “Mare Fuori” è diverso. Diverso perché cerca di recuperare i giovani del carcere minorile grazie ai vari istitutori che si prodigano tramite virtù positive – missione di vita – visto che esiste il cattivo come anche il buono! E quindi è bello accettare chi ti salva, capendo che il cambiamento è vitale per una nuova vita! Tornando a “Gomorra”, pur essendo stato un buon prodotto cinematografico e televisivo, ha mostrato tematiche discutibili visto che situazioni simili non esistono solamente nel napoletano ed in Campania, ma ovunque! Perché succedono a Milano, Roma ed altre regioni ancora, mondo intero compreso. Quindi, per favore, mostriamo anche le nostre buone e belle virtù ricche di storie e tradizioni.»
Magari accompagnate anche dalle nostre memorie rievocando usi e costumi locali. Beh… locali non proprio, altrimenti che globalizzazione è?
L’articolo Patrizio Oliva racconta cosa ha trovato (e perso) in America proviene da IlNewyorkese.