La New York da scoprire: Central Park

New York è una città che sorprende sempre. La sua storia è una storia recente ma fatta di strati, di interventi radicali dell’uomo sulla natura e sul territorio e a volte proprio una zona che pensiamo di conoscere bene è quella che ci riserva le sorprese più eclatanti.

La breve storia di Central Park

Non tutti sanno che Central Park, in apparenza un angolo di natura incontaminata nel cuore di New York, è in realtà opera dell’uomo e che ogni singolo metro quadrato dei suoi 341 ettari di superficie è stato attentamente pianificato e costruito.

Ma facciamo un passo indietro nel tempo: nel piano regolatore del 1811 che ha guidato lo sviluppo della città di New York, Central Park non era neanche menzionato. Ma ben presto la crescita esponenziale della popolazione rese necessario rivedere le cose. Tra il 1840 e il 1850 infatti, la popolazione di New York City raddoppiò, passando da 327.000 a quasi 600.000 abitanti. La maggior parte dei newyorkesi viveva ancora nella punta meridionale di Manhattan, ma i pianificatori urbani prevedevano che la metropoli in espansione avrebbe presto occupato tutta l’isola. Se New York voleva essere una città moderna di livello mondiale, al pari di Parigi e Londra, aveva bisogno di uno spazio verde aperto a tutti, simile ai Giardini delle Tuileries o a Hyde Park, dove i residenti potessero trovare rifugio dal rumore e dall’inquinamento della vita cittadina.

I poveri newyorkesi che abitavano nei Tenements, nei palazzi popolari dell’epoca, in condizioni terribili, lavoravano sei giorni alla settimana e certo non andavano nel giorno libero né negli Hamptons né nelle Catskills. L’idea era che Central Park doveva essere il modo di godersi la natura senza lasciare la città.

Nel 1853, fu deciso di destinare 775 acri, 314 ettari circa, per lo più ancora non sviluppati, all’interno della griglia di Manhattan — tra la Fifth e l’Eighth Avenue, dalla 59esima alla 106esima strada — per creare quello che sarebbe diventato Central Park.

L’area prescelta non era bella, collinare e verdeggiante come oggi, anzi, al contrario, era rocciosa, impervia aspra e irregolare, piena di paludi, rocce affioranti, boschetti spontanei e terreni collinosi.

Si trattava di un’area geologicamente modellata dal passaggio dei ghiacciai durante l’ultima era glaciale, e ciò spiega la presenza di rocce metamorfiche, la pietra locale chiamata Manhattan Scist, lo scisto di Manhattan, visibile ancora oggi in molte parti del parco. Il suolo era poco fertile e difficile da coltivare, motivo per cui non era particolarmente ambito dai ricchi possidenti terrieri del tempo.

La trasformazione di quella che era considerata una terra incolta e impervia in uno dei parchi più visitati e amati al mondo rappresentò uno dei più grandi progetti di opere pubbliche dell’America del XIX secolo. Tra il 1857 e il 1866, oltre 20.000 operai, muniti di picconi, carri e polvere da sparo, rimossero e rimodellarono quasi 7 milioni di piedi cubi di roccia e terreno, il corrispondente di circa 200.000 metri cubi, dando forma a Central Park e trasformandolo nell’oasi verde e capolavoro di arte pubblica che conosciamo oggi.

Il progetto di Central Park come manifesto di democrazia urbana

Il disegno originale di Central Park, noto come Greensward Plan, fu realizzato nel 1857 dagli architetti del paesaggio Frederick Law Olmsted e Calvert Vaux. Inizialmente, il progetto si estendeva dalla 59ª ma alla 106ªstrada e non includeva l’estensione fino alla 110ª strada, che venne aggiunta solo in un secondo momento, nel 1863, portando il limite settentrionale del parco a quello che oggi conosciamo.

Alla base del Progetto di Central Park c’era l’idea di una natura democratica, come medicina per la città e per i suoi cittadini. Olmsted e Vaux credevano che la natura avesse un potere rigenerante su corpo e mente e che i cittadini di una metropoli in espansione come New York avessero bisogno di un rifugio verde per evadere dalla frenesia, dallo smog e dalle tensioni sociali. Il parco fu pensato come antidoto urbano, accessibile a tutti: ricchi e poveri, nativi e immigrati. Un parco senza cancelli che bloccassero l’ingresso, come nelle ville dei newyorkesi benestanti.

Mappa dalla tavola di presentazione Greensward n. 2, 1858. Collezione di disegni del Dipartimento dei Parchi e delle Attività Ricreative | via Archivi Municipali di New York.

L’idea era di ricreare un paesaggio pittoresco, quasi romantico, come nei dipinti inglesi e nei giardini europei del ‘700. Tutto è costruito con attenzione scenografica, come un’opera teatrale in cui il visitatore è il protagonista. Un’opera d’arte vivente, pensata per educare il gusto, elevare lo spirito e unire le persone, in uno spazio dove la natura fosse accessibile, curata e scenica, ma mai elitaria.

A differenza di altri spazi pubblici dell’epoca, Central Park fu pensato quindi per offrire spazi per tutti: passeggiate, carrozze, picnic, sport, arte, contemplazione. Il progetto includeva percorsi separati per pedoni, cavalli e carrozze, per evitare conflitti e facilitare la convivenza. Era un’idea rivoluzionaria per il XIX secolo: creare un luogo in cui le classi sociali si potessero incontrare in armonia, circondate da bellezza e verde.

“Un grande parco urbano deve offrire un’esperienza di libertà, bellezza e uguaglianza” – Olmsted

I lampioni di Central Park ed il loro piccolo segreto

Il progetto di Central Park segue l’idea romantica che il newyorkese, entrando nel parco, dovesse entrare in profondo contatto con la natura e che per fare ciò, dovesse quasi perdersi nella natura stessa. Ed il parco infatti è fatto per perdersi: i continui cambi di direzione dei suoi viali, i sentieri che salgono e scendono, le radure improvvise, in alcuni punti del parco davvero sembrava di perdersi. Consideriamo anche che l’altezza degli edifici all’epoca era contenuta e che spesso il parco è ad un livello inferiore rispetto alla strada, e che quindi, una volta entrati nel parco, quello che si vedeva spesso erano solo le cime degli alberi.

Adesso, con le torri residenziali a sud del parco e i condomini di lusso ai suoi lati, sicuramente è facile orientarsi.

Un modo singolare per capire in modo abbastanza accurato dove ci si trova è fare riferimento ai lampioni. Ogni lampione in ghisa del parco presenta un numero a quattro cifre inciso alla base. Questo codice serve a identificare con precisione la posizione del lampione.

Le prime due cifre indicano la strada trasversale più vicina al lampione e le ultime due cifre forniscono informazioni più specifiche sulla vicinanza del lampione al lato est o ovest del parco. I numeri pari, ad esempio 02, 04, 06, indicano che il lampione si trova sul lato est del parco, verso la 5ª Avenue.  Mentre i numeri dispari, ad esempio 03, 05, 07, indicano il lato ovest, verso Central Park West. I numeri più bassi indicano una posizione più vicina al bordo del parco, mentre i numeri più alti indicano una posizione più vicina al centro del parco.

Sembra un sistema complicato, proprio come sembra complicata la griglia di Manhattan la prima volta che si visita la città, ma una volta presa dimestichezza con il sistema, ci si accorge che è semplice da utilizzare.

Per esempio se sul lampione c’è scritto “9703”, il numero 97 indica che siamo vicini alla 97ª strada, il numero 03 essendo dispari, che siamo nel lato ovest del parco, ed essendo un numero basso vuol dire che siamo abbastanza vicino al bordo del parco. Se invece sul lampione c’è scritto “9746”, il numero 97 indica che siamo vicini alla 97ª strada, il numero 46 essendo pari che siamo nel lato est del parco, ed essendo un numero alto vuol dire che siamo più vicino al centro del parco.

Questo sistema è stato originariamente progettato per aiutare il personale del parco a localizzare e manutenere i lampioni, ma oggi può essere un utile strumento di orientamento per i visitatori e di sicuro una curiosità che pochi conoscono.

Bethesda Terrace punto d’incontro tra natura, architettura e vita pubblica

Olmsted e Vaux immaginarono Central Park non solo come un luogo di bellezza naturale, ma anche come uno spazio democratico accessibile a tutti i cittadini e la Bethesda Terrace doveva rappresentare proprio questo spirito, il centro simbolico e visivo di Central Park.

La terrazza si trova all’incrocio tra il Mall, la lunga passeggiata alberata a sud, e il Lago, The Lake, a nord. Questo layout centrale, questo asse nord-sud, interrotto dalla grande fontana di Bethesda, crea una composizione scenografica che guida il visitatore verso il cuore del parco.

La terrazza è su due livelli e collega lo spazio aperto del Mall con le rive più tranquille del lago. I progettisti incorporarono elementi di architettura classica, archi in pietra arenaria, colonne scolpite, e una scala monumentale che scende verso la fontana. Gli ornamenti furono disegnati da Jacob Wrey Mould, e ogni dettaglio ha un simbolismo legato alla natura e alle stagioni.

Olmsted e Vaux curarono attentamente la visibilità e le prospettive: dalla terrazza si possono vedere il lago, le barche, i ponti, le colline. Era un centro scenografico e simbolico, un luogo pensato per la contemplazione ma anche per la socialità. Bethesda Terrace era il punto in cui si incontravano le varie anime del parco: quella formale del Mall, quella romantica del lago e quella naturale dei boschi circostanti. In questo senso, non era solo fisicamente centrale, ma anche concettualmente centrale nel disegno originale.

L’angelo delle Acque e la prima donna a ricevere un incarico pubblico

La Bethesda Fountain fu aggiunta nel 1873 ed è sormontata dall’Angelo delle Acque, scolpito da Emma Stebbins, la prima donna a ricevere una commissione pubblica a New York per una grande opera d’arte.

La statua raffigura un angelo femminile alato e sotto di lei quattro cherubini che rappresentano la temperanza, la purezza, la salute e la pace. L’angelo tiene in una mano un giglio, simbolo di purezza, e con l’altra benedice l’acqua sottostante. La sua figura simboleggia la guarigione, ispirata al Vangelo di Giovanni e alla costruzione dell’acquedotto Croton che non solo alimentava la fontana, ma forniva anche acqua potabile a una città da tempo colpita da malattie infettive causate da un approvvigionamento idrico non sicuro.

Nella cultura pop, la fontana è apparsa in molti film e telefilm tra cui Mamma ho riperso l’aereo, Gossip Girl, Avengers e Manifest.

Strawberry Fields e la connessione con l’Italia

Nella zona compresa tra la 72ª strada e Central Park West, proprio di fronte al Dakota Building dove viveva e dove fu assassinato John Lennon l’8 dicembre del 1980, si trova Strawberry Fields, un piccolo giardino a forma di lacrima, progettato dall’architetto paesaggista Bruce Kelly e inaugurato il 9 ottobre 1985, giorno del 45mo compleanno di Lennon. Il nome Strawberry Fields deriva dalla canzone dei Beatles Strawberry Fields Forever, ispirata a un orfanotrofio a Liverpool.

Cuore di questo spazio è il celebre Mosaico Imagine, l’unico tributo a New York dedicato alla memoria di John Lennon, circondato da olmi americani e panchine. Il mosaico è un dono ufficiale della Città di Napoli al Comune di New York, e fu realizzato interamente in Italia dallo Studio Cassio, storico laboratorio napoletano fondato oltre un secolo fa da Lorenzo Cassio, divenuto poi direttore dello Studio Vaticano del Mosaico.

I fratelli Fabrizio e Antonio Cassio, eredi della tradizione, sono maestri riconosciuti a livello mondiale per i loro interventi di restauro su siti di altissimo valore storico come Pompei, la Basilica di San Pietro, le Terme di Caracalla e il Museo Nazionale Romano.

Nel secondo dopoguerra, lo Studio ha dato vita a una nuova linea artistica chiamata Arte Civile, con l’obiettivo di rendere il mosaico accessibile al grande pubblico e il mosaico Imagine è sicuramente uno dei massimi simboli di questo movimento artistico.

Il disegno del mosaico si ispira a un mosaico pompeiano conservato nella stanza n. 58 del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, riproducendo motivi classici in bianco e nero. La collezione di mosaici del MANN, proveniente principalmente da Pompei, Ercolano e altri siti archeologici della Campania, rappresenta esempi straordinari dell’arte musiva romana, documentando il gusto e l’eccellenza raggiunti in quest’arte, mostrando le tecniche e i soggetti più diffusi in un periodo che va dal II secolo a.C. al I secolo d.C. Salvo poche eccezioni, i mosaici erano utilizzati a decorazione dei pavimenti, spesso con scene figurate complesse e di grandi dimensioni.

Il mosaico Imagine di Central Park, circolare e in bianco e nero, realizzato dal maestro Antonio Cassio e dal suo team, è una reinterpretazione moderna di uno di questi antichi mosaici pompeiani ed è decorato con una singola parola: Imagine, titolo dell’iconica canzone di John Lennon diventata un inno universale alla pace.

Poco distante dal mosaico, su una roccia di Manhattan Scist, si trova una targa in bronzo che elenca 121 Paesi che hanno contribuito alla realizzazione del Giardino, riconoscendo ufficialmente Strawberry Fields come Giardino della Pace. Ognuno di questi Paesi contribuì con donazioni e piantumazioni floreali ma pare che l’architetto Bruce Kelly suggerì a Yoko Ono di scegliere solo uno dei doni, sapendo che installarli tutti sarebbe stata impresa impossibile. La vedova scelse il dono dell’Italia, creando l’ennesimo legame tra il nostro paese e New York, l’ennesima storia da rivelare e raccontare.

Seneca Village e la comunità afroamericana libera di Manhattan

Durante il XVIII secolo, la parte impervia dove si decise di creare Central Park, ospitava solo poche fattorie isolate, orti, e qualche rudimentale casa colonica, abitate da immigrati tedeschi, irlandesi e afroamericani liberi. Non esisteva un sistema stradale coerente e la zona era considerata periferica e inospitale rispetto al centro in rapida crescita della città.

La natura era predominante: ruscelli, stagni naturali e terreni paludosi erano abitati da fauna selvatica, mentre alcune aree boschive fornivano legna e rifugio per gli animali. Le condizioni di vita erano dure, ma offrivano una certa autonomia e isolamento a chi cercava una vita lontano dalla frenesia urbana.

Solo con l’inizio del XIX secolo si cominciò a vedere una maggiore presenza umana organizzata, culminata con la nascita di comunità come Seneca Village, che tra il 1825 e il 1857 divenne una delle più significative comunità afroamericane libere di Manhattan.

Nel 1825, un giovane calzolaio di colore, Andrew Williams, pagò circa 120 dollari per un appezzamento di terreno tra la West 82nd e la West 89th Street. L’area divenne un rifugio per i newyorkesi neri che cercavano di sfuggire alla discriminazione razziale e alle condizioni di vita malsane di Lower Manhattan.

Nel 1855, Seneca Village ospitava circa 225 persone, di cui due terzi di colore. Il villaggio era composto da case di legno, tre chiese, una scuola per bambini di colore e un piccolo cimitero.

Molti dei residenti di Seneca Village possedevano la propria casa, un diritto che garantiva loro anche la possibilità di votare. Il governo acquistò quei terreni tramite il potere di esproprio forzato e, entro il 1857, gli abitanti di Seneca Village furono costretti ad abbandonare le loro case. Il villaggio fu demolito tra il 1857 e il 1858 per fare spazio a Central Park, e per decenni fu dimenticato. Oggi nel parco ci sono diversi elementi commemorativi che ricordano Seneca Village, per onorarne la memoria dopo decenni di oblio. Dal 2001 in poi, Central Park Conservancy, archeologi e storici hanno lavorato per riportare alla luce la sua storia.

I pannelli informativi, presenti tra la 85ª e l’89ª strada nel lato ovest del parco, vicino a Central Park West, raccontano storie sulla vita quotidiana, sulle famiglie, le chiese, la scuola ed in generale il contesto della comunità afroamericana e irlandese, mostrando anche mappe storiche e fotografie d’epoca.

Nel terreno sono visibili targhette e placche a livello del suolo che indicano i punti dove si trovavano alcune abitazioni, dove sorgevano le tre chiese (AME Zion Church, All Angels’ Church) e la scuola per i bambini afroamericani.

Tra il 2004 e il 2011 sono stati condotti scavi non invasivi per trovare resti materiali di Seneca Village. Tra i ritrovamenti scarpe, utensili da cucina, stoviglie, bottoni, libri, vetri. Questi oggetti hanno permesso di capire meglio lo stile di vita e il livello di benessere della comunità, di gran lunga superiore a quanto si fosse immaginato.Top of FormBottom of Form

La parte a Nord: la zona più inesplorata e selvaggia

L’estensione finale del 1963, data dall’aggiunta delle aree tra la tra 106ª e 110ª, fu motivata dall’enorme successo del parco e dalla volontà di completare simmetricamente il progetto paesaggistico anche se la superficie presenta caratteristiche un po’ diverse dal resto del parco, come ad esempio più rocce affioranti e aree boschive.

La parte nord del parco quindi, tra l’85ª e la 110ª strada, che oggi occupa in parte l’area dove un tempo si trovava Seneca Village in aggiunta all’estensione del 1863, somiglia infatti più a un parco nazionale in miniatura che a un angolo di Manhattan.

Il North Woods è una delle aree più selvagge e naturali di tutto il parco. Qui Olmsted e Vaux vollero ricreare la sensazione di una foresta del New England, con l’impiego di alberi secolari, rocce affioranti, ruscelli, ponti in pietra e sentieri tortuosi che salgono e scendono tra le colline.

Questa zona del parco è anche una delle più ricche dal punto di vista della biodiversità: in particolare i sentieri che ci sono nella zona del Loch, il ruscello che scorre tra cascate artificiali, sono popolari tra i birdwatcher. Qui si possono osservare oltre 200 specie di uccelli migratori in certi periodi dell’anno. Alcuni dei punti migliori includono la zona intorno al Blockhouse, una struttura militare del 1814, le rive dell’Harlem Meer e i ponticelli in pietra che attraversano il Loch.

L’Harlem Meer, è un lago artificiale ispirato alla natura, un bacino d’acqua che si trova nell’angolo nord-est del parco, vicino alla 110ª strada e alla 5ª Avenue. Creato tra il 1861 e il 1863, si ispira a uno stagno naturale preesistente nella zona ed è circondato da salici piangenti e passerelle in legno, rendendolo un perfetto punto di relax e riflessione.

L’atmosfera è molto diversa dal centro e sud del parco: qui regna la tranquillità e la connessione con la natura, rendendolo il luogo ideale per chi cerca silenzio, meditazione o passeggiate in solitaria.

Un enorme parco ma non il più grande

Nonostante Central Park sia uno dei parchi più iconici al mondo e di sicuro il parco più famoso della città di New York, non è però il parco più grande.

Il titolo di parco più grande di New York City spetta al Pelham Bay Park, situato nel Bronx, che copre oltre 1.120 ettari, quasi tre volte la dimensione di Central Park. Questo vasto spazio verde comprende Orchard Beach, zone boschive, sentieri e aree naturali.

Uno scorcio del Pelham Bay Park | via Harriet Tubman Charter School

Al secondo posto con 937 ettari abbiamo il Greenbelt, considerato il cuore verde di Staten Island e che consiste principalmente in una vasta aera boschiva con sentieri, laghi e riserve naturali.

Van Cortland Park, nel Bronx, il terzo per estensione, conta una superficie di 464 ettari, e contiene campi sportivi, una piscina, un campo da golf e una delle foreste più antiche della città.

Al quarto posto, con la sua superficie di 363 ettari abbiamo Flushing Meadows–Corona Park nel Queens, il cui nome risulterà probabilmente familiare agli amanti del tennis. All’interno del parco la famosa Unisphere, il Queens Museum ed il Billie Jean King National Tennis Center, dove si svolgono gli US Open.

E finalmente al quinto posto troviamo Central Park, con i suoi 341 ettari di superficie, il parco più grande di Manhattan, il parco più famoso di New York City e uno dei più visitati al mondo, con oltre 42 milioni di persone all’anno.

La New York da scoprire è sotto i nostri occhi

Al di là del bagliore di Times Square e del ritmo frenetico di Manhattan, New York offre tesori nascosti a chi sa cercare. Anche luoghi apparentemente conosciuti come Central Park custodiscono storie sorprendenti, angoli nascosti e dettagli che sfuggono a chi si limita a passare. Basta rallentare, osservare, e lasciarsi guidare dalla curiosità: è allora che la città svela il suo lato più autentico e diventa un’esperienza personale, da custodire nel cuore e da amare per sempre.

L’articolo La New York da scoprire: Central Park proviene da IlNewyorkese.

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