La festa dei nonni, vent’anni dopo

Il Parlamento italiano ha istituito, per legge, 20 anni fa, una festa dedicata ai nonni, da celebrarsi ogni anno il 2 ottobre, nella ricorrenza della festa cattolica degli Angeli Custodi, per sottolineare il loro ruolo di guide e protettori dei nipoti. Diversi studi e fonti indicano, infatti, che la presenza dei nonni, vicini o in famiglia, è benefica per lo sviluppo e la felicità dei bambini, perché offrono un supporto emotivo, trasmettono valori e tradizioni familiari e partecipano attivamente alla loro vita quotidiana.

La nonna materna

Io posso considerarmi fortunato, perché sono cresciuto con la presenza della nonna materna in famiglia. Donna forte, determinata, operosa, generosa, amante della vita. Abbandonata dal marito con sei figli piccoli a carico, due maschietti e quattro femminucce, si è dovuta rimboccare le maniche e darsi da fare in tutti i modi per mantenersi e portare avanti la famiglia. Il marito, quel nonno che non ho mai conosciuto, era partito nel 1925 per gli USA con l’intenzione di richiamare, poi, la famiglia. Invece dopo qualche anno ha fatto perdere le sue tracce. Mia nonna ha lavorato fino all’età della pensione, quindi rappresentava, per la mia famiglia, un’importante risorsa, soprattutto fino a quando mio padre, nel periodo difficile del dopoguerra, ha vissuto nel precariato in ambito lavorativo. Inoltre, quello status le permetteva di essere generosa con i nipoti. Oltre a elargirci regali vari ci permetteva, spesso, di accompagnarla a teatro o al cinema,. La cosa che ricordo con grande piacere era il ritorno a casa, dopo gli spettacoli, rigorosamente in carrozza, che rappresentava, per quei tempi, il taxi. Amava gli spettacoli leggeri, quelli delle riviste dei comici e dei cantanti del momento. Da adolescente m’incoraggiava ad andare, ogni domenica, al cinema mettendomi in mano una certa somma che mi permetteva di frequentare assiduamente cinema di prima classe. Allargando l’ambito dei ricordi ritrovo i sapori di alcuni suoi piatti, che ancora oggi, quando parliamo tra nipoti, indichiamo come l’insalata, la ghiotta, la frittata della nonna. E poi c’è la sua storia personale che si presterebbe come sceneggiatura per un film. Ci sono i suoi racconti, i suoi detti popolari e modi di dire siciliani, che sono diventati, ormai, patrimonio linguistico familiare. E’ morta fra le mie braccia in una fredda notte di febbraio del 1964.

Il nonno materno

Come detto sopra, non ho mai conosciuto il mio nonno materno, perché, stabilitosi in America, dal 1927 non ha più dato notizie di sé. In famiglia non si parlava di lui. E se qualche volta il discorso portava a lui, veniva chiamato “quel farabutto”. Per noi era come se non fosse mai esistito e non esistevano foto che lo ritraevano. Un mio zio, suo genero, che ha trascorso alcuni anni a New York, è riuscito, nei primi anni’50, a rintracciarlo a Filadelfia, scoprendo che si era rifatta una famiglia americana. Quindi risultava bigamo. Mia zia, una sua figlia, trasferitasi negli USA nel 1955, volendo rintracciarlo ha scoperto che era già morto.  Poi, alcuni anni fa, un mio cugino di Long Island (N.Y.), mi ha coinvolto nella creazione dell’albero genealogico della nostra famiglia, chiedendomi di fornirgli tutti i dati dei parenti residenti in Italia. Lui si sarebbe occupato di quelli presenti in USA. Quando siamo arrivati a decidere sul nostro nonno materno, ci siamo chiesti se inserirlo o escluderlo. Alla fine abbiamo deciso per il sì, perché, malgrado tutto, nel nostro DNA c’è traccia della sua presenza. Siamo partiti dal suo certificato di nascita e da quello del matrimonio italiano e, attraverso un sito americano di genealogia, siamo arrivati a ricostruire la sua storia americana, in seguito alla consultazione di numerosi documenti e di altri alberi genealogici. Abbiamo potuto conoscere, finalmente, attraverso le foto trovate, il suo volto e il suo portamento da giovane e da più attempato. E poi abbiamo rilevato che era arrivato negli USA, una prima volta, nel 1909 per accompagnare una sua sorella che si doveva sposare a Filadelfia. E’ ritornato in Italia nel 1910 per sposare mia nonna, con la quale ha avuto sei figli, l’ultimo nato nel 1923. Poi è tornato a Filadelfia nel 1925 dove, molto probabilmente ha incontrato una vecchia fiamma, conosciuta nel suo primo soggiorno americano del 1909, e l’ha sposata nel 1927. Lei, di origine calabrese, era, in quel momento, vedova con 5 figli.

I nonni paterni

La mia nonna paterna era una donna dolce e gentile, di una bontà e pazienza infinite. Era analfabeta, ma conosceva a memoria un’infinità di storie, soprattutto di vite dei santi. Abitavamo vicini, e, quando, da bambino, le malattie invernali mi costringevano a letto, la chiamavo accanto a me per sentire i suoi racconti, che ripeteva e ripeteva pazientemente. Era una mezza fattucchiera, perché toglieva il malocchio. Da bambino soffrivo di forti mal di testa. Quando mi venivano, mia madre, attribuendo quel disturbo a effetti malefici frutto di ostilità verso la mia persona, mi mandava dalla nonna perché mi togliesse il malocchio. Mia nonna mi metteva un piatto fondo in mano con dell’acqua dentro. Facendo la croce sopra il piatto rilasciava del sale in quattro angoli contrapposti del bordo del piatto, mentre, sottovoce, recitava delle preghiere. Poi, in una tazzina da caffè con dell’olio d’oliva intingeva il suo dito mignolo e lo portava sopra il piatto per farvi cadere una goccia di quell’olio. Se c’era il malocchio la goccia, a contatto con l’acqua del piatto, si allargava velocemente fino ai bordi dello stesso piatto, e quindi continuava con altre gocce fino a quando la goccia non si allargava più. Voleva dire che il malocchio era tolto. Cosa veramente incredibile, ritornavo a casa libero completamente dal mal di testa. Ancora adesso che colloco quella pratica del malocchio nell’ambito della superstizione, lontano quindi dal mio modo di credere e pensare, non riesco a darmi una spiegazione a quello che mi succedeva allora.

Il ricordo del mio nonno paterno è, invece, principalmente legato ai racconti delle vicende che l’avevano visto impegnato al fronte, come fante della prima guerra mondiale, quando si combatteva ancora col fucile a baionetta.

Io come nonno

Io ho un’unica nipotina, che oggi ha 17 anni. Mia moglie e io abbiamo, quindi, potuto concentrare tutta la nostra attenzione su di lei. E’ cresciuta praticamente in casa nostra, abitando vicini. Ci siamo goduti la sua infanzia e la sua prima adolescenza. Due anni fa ha traslocato con i genitori in altra città, ma manteniamo contatti frequenti. Essendo in pensione da 15 anni, ho potuto dedicare più tempo a lei di quanto abbia potuto fare con i miei figli. Sono stato compagno di giochi. Autista per accompagnarla e riprenderla a scuola, ma anche a Pallavolo e in palestra. In quei viaggi si chiacchierava molto e volevo che non finissero mai. L’aiutavo a fare i compiti e quindi ho avuto modo di trasferire a lei un po’ del mio sapere. Appassionati entrambi di cucina, passavamo spesso dei momenti insieme a preparare dei piatti della nostra tradizione culinaria. Questo accade ancora oggi quando ci viene a trovare. L’accompagnavo ai Centri Commerciali per l’acquisto di giocattoli, di capi di abbigliamento, di scarpe, di bigiotteria, di profumi, di cancelleria e quant’altro. Tutto questo io e lei da soli. Anche al cinema andavamo spesso noi due da soli, perché avevamo interessi e gusti comuni. La stessa cosa era per la visione dei programmi televisivi. Per almeno tre anni mi è capitato di avere un alloggio di appoggio, per un lavoro part time post pensione, a Roma sul lungotevere vicino a Piazza del Popolo. Le nostre passeggiate sono rimaste memorabili. Da Piazza del Popolo, percorrendo la rinomata via del Corso si raggiungevano quelle vie che portano a piazza di Spagna, alla fontana di Trevi, a piazza Navona e a tanti altri siti caratteristici del centro di Roma. Sono stati dei momenti fantastici, che ricordiamo sempre son piacere.

Oggi, quando viene a trovarci, si attarda volentieri a raccontarsi e per me è un piacere immenso constatare la sua maturità di pensiero e di azione, e gioire dei suoi successi scolastici e non. Oltre alla bellezza esteriore, manifesta un’intelligenza e una saggezza non comuni in giovani della sua età. Come nonno mi sento fiero e appagato nel constatare quella sua personalità, che ho contribuito, in qualche modo, anch’io a formare. 

Le volte che viene a trovarci, quando riparte lascia, per me e per mia moglie, dei bigliettini d’amore nascosti nei posti da noi frequentati o negli oggetti da noi usati. Per cui si apre la caccia al tesoro fino a quando li troviamo. Con messaggi come: “Ti voglio bene, sei speciale per me”, “Ti voglio tanto bene”.

E allora capisci che il tuo compito di nonno ha dato dei buoni risultati ed è stato proficuo, come lo è stato quello dei miei nonni.

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