Irene Veschi, l’artista dei cuori che ha portato l’amore da Terni a New York

L’America omaggia l’arte italiana. È quanto sta accadendo in questi giorni a New York con l’evento ‘Art Exchange: America & Italy’, una mostra importante ideata per festeggiare il centenario della nascita di Carlo Rambaldi, grandissimo personaggio del cinema premiato tre volte con l’Oscar per gli effetti speciali di E.T., Alien e King Kong. Dietro a tutto questo c’è l’associazione Rambaldi Promotions, con le curatrici della mostra Daniela Rambaldi e Tess Howsam direttrice srtistica di Culture Lab LIC.

Una mostra che vede esporre opere pittoriche, scultoree e non solo da parte di 71 artisti italiani e 23 americani. Tra gli artisti presenti spicca Irene Veschi, artista italiana nata a Terni il 21 gennaio del 1972. L’artista umbra, che vive e lavora a Terni, si contraddistingue per l’utilizzo della lastra radiografica medica come supporto delle sue opere che mettono sempre in evidenza il cuore. Irene Veschi è un’artista capace di trasmettere, attraverso le sue opere e la sua personalità, un’energia positiva e creativa straordinaria. La sua stessa storia dimostra che, con determinazione e perseveranza, è possibile realizzare i propri sogni e portare avanti un progetto con successo.

L’artista italiana si è raccontata a noi de IlNewyorkese, dalle origini fino all’arrivo a New York.

Irene, quando hai capito di avere questo grande talento, questa notevole vena artistica?
Fin da bambina ho sentito forte il richiamo dell’arte. Avevo appena quattro anni e già mi divertivo a trasformarmi, truccarmi, inventare piccoli spettacoli… era il mio modo di comunicare, di esistere. È sempre stato dentro di me, qualcosa di innato. Sono cresciuta con questa certezza e con una volontà ferma: creare. Ho scelto l’arte come compagna di vita, rinunciando a tutto il resto. Per chi è artista, l’arte è una presenza viva, quasi un figlio: ha bisogno di cure, di attenzione, di essere sostenuta e protetta, anche nei momenti più difficili. Non mi sono limitata alla pittura o alla scultura: ho esplorato il cinema, la scenografia, ogni forma espressiva in cui potessi dare voce alla mia visione. È un cammino intenso, pieno di sfide, ma assolutamente necessario per chi, come me, non può fare a meno di creare.

Immaginiamo che però non sia stato facile per te intraprendere una vita da vera e propria artista.
Da ragazza ho svolto qualche lavoro saltuario, ma avvertivo chiaramente che non facevano per me. Era come se il tempo dedicato a lavorare per altri mi venisse sottratto, rubato alla mia vera vocazione.
Ho investito tutta la mia vita in un unico obiettivo: l’arte. E oggi, a 53 anni, posso dire con fierezza di avercela fatta. Quando avevo vent’anni, vedevo i miei amici costruirsi vite più “sicure”: un impiego stabile, una macchina, una routine. Io avevo solo i miei sogni, ma per me valevano più di qualsiasi contratto a tempo indeterminato. Mi sono fatta strada da sola, passo dopo passo, senza appoggi. Ho affrontato una lunga gavetta, con pochi soldi e tante rinunce, ma con una determinazione assoluta. All’inizio non avevo nulla, se non la volontà incrollabile di vivere d’arte. La mia vita è sempre stata proiettata verso un’unica meta: portare la mia arte al livello più alto possibile. Oggi, quegli stessi amici che un tempo guardavano con perplessità le mie scelte, si stupiscono quando vedono che posso guadagnare, vendendo alcune delle mie opere, quanto loro in un mese intero di lavoro. Ma ciò che vedono oggi è solo il frutto di anni di semina su un terreno che, all’inizio, era arido e duro da coltivare.

Parlando proprio delle tue opere, come è nata l’idea di utilizzare la lastra medica radiografica e i cuori che sono il tuo segno di riconoscimento?
Sono una persona profondamente spirituale e credo, con tutta me stessa, che nulla accada per caso. Ogni incontro, ogni evento, ogni segnale ha un significato, anche quando non lo comprendiamo subito. Durante un viaggio a Madrid, ho vissuto un’esperienza che ha cambiato radicalmente il mio percorso artistico. In un momento di raccoglimento interiore, ho rivolto delle domande, ho espresso dei desideri, ho chiesto risposte. E quelle risposte sono arrivate, anche se non nel modo in cui mi aspettavo.
Poco tempo dopo, mi sono trovata di fronte a una lastra medica. In quell’istante ho sentito chiaramente che quella era la risposta che avevo cercato. Ho compreso, in modo quasi istintivo, che la mia arte doveva nascere da lì, da quel materiale carico di umanità, fragilità e memoria. Da allora, ogni mia opera prende vita su una lastra radiografica. È diventata il mio linguaggio, il mio canale di comunicazione con qualcosa che sento appartenere a un’altra dimensione. Ogni lastra racconta una storia che va oltre il visibile, oltre il corpo, oltre il tempo. C’è sempre, in ognuna di esse, un legame profondo con l’invisibile, con ciò che va “oltre”.

E riguardo al cuore?
A un certo punto del mio percorso, ho iniziato a vedere ovunque la forma del cuore. Era come se mi chiamasse, come se mi apparisse continuamente per ricordarmi qualcosa di essenziale. Il cuore è un simbolo universale, appartiene a tutti noi. È un messaggio potente, semplice e profondo: un messaggio d’amore, di empatia, di connessione umana. Da quel momento, il cuore è diventato protagonista della mia ricerca artistica. Ne ho dipinti oltre 600, ciascuno unico, vibrante, realizzato su supporti che porto con me da anni: le lastre mediche. Materiali che racchiudono storie di fragilità, di cura, di vita. E su queste superfici trasparenti e delicate, i miei cuori prendono forma.
Uno dei miei cuori è arrivato persino sul grande schermo, all’interno del cortometraggio C’hai 5, con Gabriel Garko e Maria Grazia Cucinotta, dedicato al tema dei trapianti e della donazione. Il film è stato presentato al Festival dei Tulipani Neri a Roma, e proprio in quell’occasione ho incontrato entrambi gli attori. Ricordo l’entusiasmo di Garko: i miei cuori lo hanno colpito così tanto che oggi ne possiede ben tre.

Ora sei a New York. Possiamo dire che è un altro sogno che si realizza?
Sì, assolutamente. Era un obiettivo che mi portavo dentro da tempo, e oggi posso dire di averlo raggiunto. Ho sempre desiderato portare i miei cuori a New York, farli vivere tra le strade, tra le persone, in una delle città più iconiche e dinamiche del mondo. Volevo che i newyorkesi mi conoscessero per quello che sono: un’artista che arriva da Terni, la città di San Valentino, la città dell’amore. L’artista dei cuori.
Per me non è solo un progetto artistico, è una dichiarazione. Ho disseminato i miei cuori per tutta la città, li ho attaccati ovunque, come segni di presenza, come messaggi silenziosi ma forti. Voglio che siano il mio tratto distintivo, il mio modo di dire: “io sono qui”, con la mia arte, con il mio linguaggio. Questo per me è molto più di una mostra: è un gesto d’amore verso il mondo.

Possiamo dire che questo è solo l’inizio del tuo viaggio a New York e negli Stati Uniti?
Assolutamente sì. Per me, New York rappresenta una porta aperta sul mondo, un punto di partenza, non un traguardo. È una città che accoglie, che amplifica, che ti mette alla prova ma che sa anche restituire tantissimo. E io sento di avere ancora molto da dire, da creare, da condividere. Mi sto già muovendo per tornare il prossimo anno con una nuova esposizione, ancora più intensa, ancora più piena di cuori e di significato. Voglio che il mio messaggio d’amore arrivi ovunque, che tocchi le persone, che lasci un segno. New York è immensa, incredibile, ma il mio sguardo guarda oltre: voglio portare i miei cuori anche a Miami, a Los Angeles, in tutte quelle città dove l’arte può ancora emozionare, parlare, unire. Non mi pongo limiti, perché l’arte – come l’amore – non ha confini. E il mio sogno è proprio questo: far arrivare i miei cuori in ogni angolo del mondo.

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