Il volto nascosto della fama

E’ una storia americana, sicuramente. Ma è anche una storia, umanamente e dis-umanamente, universale. Il più grande quotidiano italiano, il Corriere della Sera, da giorni dedica intere pagine alla morte in solitudine, estrema solitudine, di uno dei più acclamati divi di Hollywood, Gene Hackman, e di sua moglie.

I fatti, se le cose stanno così, sono scarni: nella villa di Santa Fe dove l’attore conduceva una vita volontariamente ritirata, vengono ritrovati lo scorso 26 febbraio il suo corpo privo di vita, quello della compagna e di uno dei tre cani della coppia. Lei, la pianista Betty Arakawa, stroncata da un virus trasmesso dai topi, lui malato di Alzaheimer, morto una settimana dopo, abbandonato a se stesso e forse inconsapevole di tutto.

La scena l’hanno scoperta gli addetti alla manutenzione del comprensorio della villa, non i vicini, non gli amici, che forse non c’erano più, né i tre figli dell’attore che da mesi non cercavano il padre neanche per un saluto. Certo di storie così ce ne sono tante, anche nelle nostre Rsa, genitori lasciati al loro destino, qualche volta neanche trattati bene, un intralcio per quelli che hanno messo al mondo e che nel mondo ci vogliono stare, ma senza di loro. E pensare che l’età più fragile della vita andrebbe protetta in una democrazia matura, dalle istituzioni nella dimensione pubblica e dalle persone in quella privata.

La liturgia di Hollywood, ascesa, fama e declino, non fa che esasperare la trama di una tragedia comune, troppo comune. Nello stesso tempo il contrappasso della celebrità ha un’amarezza tutta sua, un sorta di tratto violento rovesciato delle luci dello star- system. Tante volte mi sono occupato nel mio programma “Top secret” della morte dei famosi , spesso americani, attori e musicisti, spesso giovani ma non solo. Tutti i complotti e le leggende che sono nate su queste fini hanno il sapore di un artificioso (poi divenuto artificiale in quanto intelligenza) escamotage culturale per riannodare i fili spezzati della biologia.

La scomparsa di Gene Hackman mi ricorda, mutatis mutandis, quella di Marylin Monroe, la notte fra il 4 il 5 agosto del 1962 nella sua casa di Brentwood, Los Angeles. Tante le teorie su quella  tragica notte, ma in ogni ricostruzione seria appare la solitudine della star, le tante inutili telefonate forse in cerca di un po’ di calore prima della fine. L’amore del pubblico non ha come specchio quello della realtà. E non c’è davvero più nessun amore in quella morte da solo, lì per terra, a Santa Fe.

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