Il silenzio della musica: semplicemente Ennio Morricone

Capita talvolta nella vita d’incontrare “tipetti” sensibili, capricciosi, vulnerabili, pazzerelli, irascibili, ma anche generosi. Ed ancora: dotati di grandi slanci, ma al contempo umorali e inavvicinabili.
“Roba d’artista”. Quello che le persone pensano. Esatto, poiché gli artisti si comportano proprio così e… quando “gli gira” è bene stare alla larga, dal momento che dal bianco passano automaticamente al nero e difficilmente vedono l’arcobaleno.

Stavolta parliamo d’un libro. Quel libro intitolato: “Ennio Morricone, il Genio, l’Uomo, il Padre”, scritto da Marco Morricone – figlio – e Valerio Cappelli, con prefazione di Aldo Cazzullo, presentato di recente a Firenze, negli ampi locali della Fondazione Zeffirelli.

Poco a poco sbuca il ‘Maestro’ Morricone, figura estremamente rigorosa ma anche contraddittoria, dotato di sguardo puro nei confronti del mondo. E che amava giocare a scacchi. Parliamo d’un romano atipico, emotivo e sensibile, che con la sua musica unica e speciale bucava la pancia. Senza ancora smettere.

Sorridono i due figli, presenti, con sguardo colmo di tenerezza nel ricordo del celebre papà che tutto si sentiva meno che “divo”, nonostante i felici e fecondi incontri di lavoro in Italia e in America al fianco di Quentin Tarantino, Clint Eastwood, Joan Baez, il caro Tornatore, Sergio Leone – due testardi capoccioni incredibili! – ed altre celebrità ancora.

Emerge il ricordo d’un gran lavoratore che si sentiva uguale a tutti gli altri, di poche parole asciutte, dotato d’animo infantile, nonché romanista sfegatato per due ore… che però poi gli passava tutto e subito.

Nella sala gremita all’inverosimile l’attenzione è altissima, mentre viene ricordato il suo essere schivo persino in famiglia, nonostante:
“Papà era talmente creativo, ma talmente creativo che, inconsapevolmente, arricchiva noi familiari e tutti coloro che stavano al suo fianco”.

Una forza d’unione trascinata da Maria Travia, moglie di Ennio, nonché sua musa ispiratrice. Dolcissima e discretissima, come del resto è rimasta oggigiorno nonostante la fama planetaria del marito. A lei il coniuge dedicava regolarmente ogni premio ricevuto. Lei! – la prima – che giudicava l’operato del marito senza concedere troppi sconti, una vera e propria figura fondamentale nella loro unione, coronata felicemente dai quattro figli.

Solare, dotato di buoni modi, col bel volto aperto e fisico slanciato, il figlio Andrea – musicista pure lui – si esibisce magistralmente al pianoforte, raccontando della sua professione:
“Beh, osserverei un salto nel vuoto a seguito di ciò che udivo da piccolo, nonostante il divieto assoluto di ascoltare musica tra le mura domestiche per non distrarre papà. Strano… ma vero. D’altronde lui era fatto così, come quella cosa di chiudere col chiavistello – attaccato poi al collo – le sue stanze, al fine di non subire intrusioni e ‘rubamenti’ dei suoi oggetti. In realtà era più la mamma capace di donare qualche disco ai professori, a mo’ d’imbonimento per noi figli!”

Una pausa, un’altra melodia eseguita, ed ancora il racconto su quel padre che non mangiava molto, specie prima di comporre, con seguito però di “manina” frettolosa nell’allungarla verso i piatti degli altri con sguardo birichino.

Quanto ai dolci:
“Una vera e propria passione per i cioccolatini, seppur nascosti da nostra madre, ma da lui ritrovati il più delle volte, con seguito di biglietto sardonico: ‘Maria, nascondi meglio!’”.

Ed ancora la storia dei taccuini:
“Fogliettini sparsi nei vari angoli della casa, da lui conservati religiosamente, per fermare le idee al volo, con finale poi verso veri e propri capolavori.”

Capolavori che riportano a Sostiene Pereira, Nuovo Cinema Paradiso, C’era una volta in America, Gli Intoccabili, Mission, Sacco e Vanzetti e tanti altri ancora, ben conosciuti.

Quanto a invidie e malignità, inevitabili pure quelle, nonostante facessero parte del gioco, dal momento che i cavalli di razza suscitano tensioni ed ammirazioni.

La conclusione si avvia con le parole di Marco, l’altro figlio, spiegando che il libro in questione non nasce con l’idea di farne un ‘santino’, bensì con la voglia di trasmettere l’essenza più profonda di quell’amatissimo padre, restituendone i privilegi ricevuti. Come quello di donare in beneficenza i proventi del volume.

Doveroso ricordare che il figlio primogenito Marco, con la moglie, ha fondato Armonica Onlus, laboratori musicali per ospedalizzati e loro familiari, considerando la musica stessa eccellente medicina dell’anima, capace di curare le fragilità umane al fine d’alleviarne le sofferenze.

“Purtroppo la musicoterapia è poco seguita in Italia – spiega – ed è un vero peccato, poiché tale disciplina aiuta fisicamente e psicologicamente le persone malate”.

Brilla la stella a 5 punte della Walk of Fame, dal momento che il Maestro Ennio Morricone è stato il tredicesimo italiano ad aver visto il proprio nome impresso sullo scenario dell’Hollywood Boulevard.

Decisamente una bella soddisfazione. Come l’Oscar, il primo, ricevuto per la carriera nel 2007, con seguito del secondo nel 2016 per le musiche di The Hateful Eight del regista Tarantino.

Negli anni precedenti – nel 1986 esattamente – la speranza di ricevere l’ambita statuetta per il film Mission era forte, nonostante il premio andato invece a Round Midnight, con seguito di giuste polemiche, motivate dal fatto che la musica di quel film non fosse del tutto originale come previsto dal regolamento.

La delusione non mancò… presto superata con un’alzata di spalle osservando:
“Un premio americano per gli americani!”.

A noi di fronte, Andrea Morricone, per Il Newyorkese, racconta poi di quel padre schivo, inflessibile e molto, molto dedito al lavoro.

“Ma anche generosissimo, di totale devozione nella propria professione incessante, tranne rare eccezioni: solo quando riposava! Un uomo che amava molto riflettere, specie quando non era alla scrivania o al pianoforte. E proprio al pianoforte andava quando era in crisi… tra virgolette… in ‘crisi compositiva’”.

Perché questo?
“Perché quando non gli veniva un tema, andava al piano, immergendosi completamente. In linea di massima i temi non li scriveva mai al pianoforte… lì cercava solamente accordi o giù di lì, e quindi decisamente un grande lavoratore che si applicava anche più di otto ore al giorno”.

Quali sono i valori trasmessi a voi figli?
L’eredità più grande, per me, è stata il culto del silenzio. Questo è il messaggio importante su cui voglio soffermarmi, e non solo musicalmente parlando. L’importanza delle pause, delle assenze di suoni, del vuoto, della materia che si riflette nella vita. Il silenzio è un momento altamente costruttivo, meglio una parola non detta che detta”.

Suo padre lavorava molto per l’America o in America?
“Molto per l’America. Sta di fatto che la sua professione si dipanò – e non poco – con registi americani che approdavano nel nostro Paese per incontrarlo e lavorare assieme. Con l’Oltreoceano lui aveva un rapporto di grande generosità: si faceva amare e sapeva d’essere molto amato, restituendone tutto l’amore donato”.

Si presume che avesse molti amici nell’amata professione.
“Sì, numerosi, anche coltivati verso altri settori tipo studi di registrazione, colleghi vari, istituzioni culturali ed altro ancora”.

Sempre d’America parlando, si spostava da solo oppure con tutti voi?
“Noi due andavamo spesso e volentieri, ma capitava anche con l’intera famiglia”.

Non le domando altro, poiché nel corso di questa serata, grazie ai vostri ricordi, “L’Uomo Morricone” è stato ben presente. Se poi vuole aggiungere qualcosa, siamo a sua disposizione, nonostante l’ora di chiusura seguita da sguardi non troppo benevoli.

“Direi proprio ritornare sul silenzio. Il concetto del silenzio a mo’ di sprone per tutto e tutti, in quanto valore preziosissimo. Talvolta l’energia va contenuta anche tramite il non fare o ‘fare poco’. Giusta una gestione intelligente ed oculata di ogni minimo particolare che appartiene alla nostra quotidianità”.

Quindi una filosofia di vita?
“Esatto, una vera e propria filosofia di vita”.

Si alza sorridendo e stringendomi la mano, avviandosi poi in compagnia d’altre persone verso l’uscita.

“Il silenzio è d’oro”. Un motto che ci hanno insegnato sin da piccolini. E quindi inevitabile un momento di pausa personale, riflettendo: “Mon Dieu, non è che ho parlato troppo?”

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