Dalla ricotta del nonno in Belgio alla tavola americana: il sogno italo-americano di Alessandro Sita

Alessandro Sita dirige la Sita Food Inc, azienda specializzata nell’importazione e distribuzione di formaggi e Salumi  italiani negli Stati Uniti. Ma dietro al successo imprenditoriale si cela una storia che affonda le sue radici nelle colline della Calabria, passa dalle miniere del Belgio e si realizza oggi, a New York. Intervenuto nel podcast Ritratti de ilNewyorkese, Sita ha ripercorso il viaggio della sua famiglia, offrendo una riflessione profonda sull’identità italica e sulla responsabilità – culturale prima ancora che commerciale – di promuovere il Made in Italy all’estero con autenticità e visione.

«Sono figlio dell’emigrazione. Mio nonno, pastore calabrese di Mammola, emigrò in Belgio dopo la guerra. Lavorava in miniera, ma portava con sé il ricordo della sua terra. Comprò una pecora e iniziò a fare la ricotta per sé e per i compagni. Era un modo per ritrovare casa».

Da quell’atto di nostalgia e ingegno nasce la tradizione casearia della famiglia, che nei decenni si è trasformata in impresa, prima in Europa e poi negli Stati Uniti. «Dopo undici anni di miniera, mio nonno aprì un piccolo caseificio e cominciò a vendere porta a porta. Poi arrivarono mio padre e i suoi fratelli, e infine noi nipoti, cresciuti con quello stesso spirito».

Sita è arrivato a New York per amore e per vocazione, e dopo anni di esperienza in aziende italiane in Europa, ha deciso di mettersi in proprio. «C’era questa leggenda che gli americani non capissero il nostro cibo. Invece ho trovato un mercato curioso, aperto, specie a New York. Ma bisogna spiegare, far assaggiare, educare».

L’incontro con la moglie Luisa, italiana di seconda generazione nata negli Stati Uniti, è stato un ulteriore tassello di una vita all’insegna del ponte tra culture: «Mio padre mi disse. “Hai girato il mondo e hai trovato un’italiana”…Ma nella vita ci associamo a ciò che ci completa».

Sita riflette anche sul significato dell’identità italica, quel sentimento che unisce chi è italiano per nascita, cultura o discendenza. «Da ragazzo era difficile posizionarsi: in Italia ero straniero, all’estero pure. Ma poi ho capito che l’Italia ha un valore simbolico enorme. Siamo dinamici, brillanti. E all’estero forse lo percepiamo meglio. Ho incontrato due comunità: chi si sente italiano anche senza parlare più la lingua, e chi sta riscoprendo con orgoglio le proprie radici. È un fenomeno bellissimo: è memoria, è patrimonio condiviso».

L’azienda che dirige oggi, Sita Food, si basa su una visione chiara: promuovere l’eccellenza senza compromessi. «Spesso, nelle esportazioni, si cercano scorciatoie. Noi invece vogliamo raccontare il valore dei prodotti, la loro origine. Oggi il consumatore vuole sapere cosa mangia. I social hanno aiutato a far crescere la consapevolezza».

Per questo Sita lavora con piccoli produttori italiani, spesso a conduzione familiare, che non avrebbero da soli i mezzi per esportare. «Creiamo partnership. Educare il mercato americano è la nostra missione».

Anche la produzione locale, per Sita, può essere autenticamente italiana: «Abbiamo dimostrato che si può fare qualità qui, rispettando lo standard: know-how italiano, ingredienti italiani. È come la pizza napoletana: se hai gli ingredienti giusti e la tecnica giusta, il risultato è lo stesso, anche fuori dall’Italia».

Il suo approccio è fatto di coerenza e lungimiranza, come dimostra la scelta logistica – costosa ma simbolica – di far arrivare la ricotta di pecora dall’Italia ogni due giorni. «È complicato, ha una vita breve, ma si può fare. E funziona. C’è domanda. Vent’anni fa sarebbe stato impensabile».

Sita dedica un pensiero alle generazioni di emigrati che lo hanno preceduto: «Dobbiamo tantissimo a loro. Hanno aperto la strada. Si sono integrati senza perdere i propri valori. Oggi li vediamo nella politica, nella cultura, nell’imprenditoria. È un bellissimo esempio per tutti».

Il suo sogno è ora quello di ispirare le nuove generazioni. «Bisogna avere coraggio. Soprattutto all’estero, si trova una spinta in più. E New York ti fa sentire che tutto è possibile. Speriamo di continuare a promuovere le nostre radici, perché, anche se siamo lontani, restiamo profondamente orgogliosi di essere italiani». Infine, da padre, guarda al futuro con realismo e fiducia. «Ho tre figli. Il più grande, Salvatore, ha 21 anni e sta già facendo esperienze all’estero. Ma nell’azienda familiare si entra dopo. Prima bisogna conoscere il mondo. Non c’è una verità assoluta, ce ne sono tante. E bisogna confrontarsi con tutte».

www.sitacheese.com 

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