Arvedo Arvedi è un artista fuori dagli schemi, non solo per il percorso che lo ha portato a diventare pittore – dopo aver fatto il contadino, l’organizzatore di eventi e il dirigente turistico – ma anche per lo sguardo con cui legge il mondo. Veronese di origine, ma napoletano d’adozione, ha trovato nel caos colorato del Sud l’energia creativa per far evolvere la propria arte verso forme nuove, libere, simboliche. Dal 18 giugno al 2 luglio sarà protagonista alla Mooney Foundation di Chicago con la sua nuova mostra personale, Antiche Memorie, un viaggio visivo tra pitture rupestri, mitologie perdute e messaggi universali, nato dal desiderio di ritrovare un linguaggio condiviso in un’epoca in cui – come lui stesso dice – “tutti parlano, ma nessuno si capisce”. A trent’anni esatti dalla sua prima esperienza americana, Arvedi torna a esporre proprio nella città dove è nato artisticamente. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare la mostra, la sua visione del mondo e il rapporto viscerale con Napoli, la città che gli ha cambiato la vita.
Lei è un veronese doc che vive a Napoli. Come si trova a vivere nella città “del sole, del mare, dell’amore”?
«Napoli è una città affascinante, dove il mio istinto artistico si è evoluto notevolmente.
La luce, i colori, le bellezze storiche e architettoniche, il mare, le isole, perfino il chiacchiericcio della gente: tutto diventa uno stimolo per la mente di un artista, che assorbe, elabora e trasforma.
Qui ho il mio studio, e sicuramente il contesto ha avuto una forte influenza sulle mie opere. A Napoli ho inventato nuove tecniche, ho usato il colore in modo più creativo, più libero, più… “anarchico”.»
Parliamo di calcio. La rivalità tra Napoli e Verona è storica. Tra le tifoserie sono volate parole pesanti…
«Cosa dire… Amo il calcio, ma solo come argomento di conversazione. Reputo sinceramente beceri certi slogan dei miei concittadini. Ho trovato invece geniale l’ironica risposta dei partenopei.»
Alla fine, per chi tifa?
«Tifo Napoli, per simpatia. A parte gli scontri diretti col Verona – e un tempo anche col Chievo, ahimè scomparso dai radar del calcio – perché il sangue non si tradisce… mai!»
Parliamo della sua prossima mostra a Chicago: “Antiche Memorie”. Come mai questo titolo?
«”Antiche Memorie” si ispira a un linguaggio simbolico legato alle pitture rupestri preistoriche, presenti in tutto il mondo. Sorprendentemente, mostrano straordinarie somiglianze a ogni latitudine: un linguaggio comune fatto di simboli e rappresentazioni simili, in civiltà che non potevano avere contatti tra loro.
In questa mostra ho voluto unire il mondo, ispirandomi a tecniche e segni antichi, ma con l’intenzione di parlare all’oggi.
Viviamo in un’epoca in cui tutti parlano e nessuno si capisce. Ho sentito l’urgenza di tornare a un linguaggio universale, primitivo ma potente, per riscoprire ciò che ci unisce.»
Torniamo alla mostra e al luogo che la ospiterà: Chicago e la Mooney Foundation. Perché sono così importanti per lei?
«Chicago è “la mia” città. Qui ho vissuto i momenti professionalmente più importanti della mia vita.
La Mooney Foundation è casa: è lì che sono nato come artista, esattamente 30 anni fa, quando John David Mooney mi invitò a essere suo assistente per il progetto internazionale “StarDance”, commissionato per le Olimpiadi di Atlanta del 1996.
Un’esperienza che ha cambiato per sempre la mia vita, ampliandone la prospettiva.»
Non è sempre stato un artista, giusto?
«No, come dico spesso: ho avuto molte vite. Sono stato contadino, organizzatore di eventi in ville venete, ho ricoperto ruoli istituzionali in ambito turistico.
Mi sono laureato in Marketing e Comunicazione. Poi, finalmente, sono diventato artista.»
Tante vite e tante esperienze lontane dalla classica idea dell’artista…
«È vero, ma solo in parte. Tutte esperienze che mi hanno formato e che mi hanno portato a scrivere un libro che riunisce questi diversi mondi: l’imprenditore, l’artista, l’esperto di marketing.
Nel mio libro Corporate Art. Abbracciare un nuovo metodo di Marketing e Vendita ho raccontato come l’arte sia da sempre, nella storia dell’umanità, un potentissimo strumento di comunicazione, persuasione e vendita: che si tratti di prodotti, religioni o stili di vita.»
Sarà una mostra importante?
«Sì, sarà una mostra molto importante, imponente oserei dire. Esporrò oltre 60 opere di varie dimensioni, suddivise in diverse sezioni:
La prima con una decina di quadri molto grandi (150×250 cm, circa 5×8 feet), dedicati ai quattro elementi – Fuoco, Aria, Acqua e Terra – e ad altri ispirati ai dipinti e alle incisioni rupestri degli indiani Hopi e ai famosi disegni della piana di Nazca, in Perù.
La seconda con gli acquarelli dei “Guerrieri Danzanti”, ispirati ai guerrieri della Val Camonica e alle incisioni rupestri del nord del Sahara.
La terza con la collezione dei “Guerrieri dalla Testa Grande”, ispirata a quelle misteriose incisioni raffiguranti dei o guerrieri potenti, con grandi teste a forma di casco (spaziale?), che molti ritengono testimonianze di visitatori alieni.
Infine, ci sarà una sala dedicata al progetto di art marketing “Arte da Vestire”, con una ventina di pashmine commissionate da diverse aziende con cui ho collaborato.»
“Arte da Vestire”? Ci spiega meglio?
«Come scrivo anche nel mio libro, l’arte è uno strumento potentissimo anche per il marketing. Il progetto “Arte da Vestire” nasce per le aziende che vogliono coccolare le persone importanti: clienti, partner, collaboratori chiave.
Un modo per dire loro: “Io tengo a te. Sei importante per me.”
Le mie pashmine sono doni personalizzati e unici, realizzati in serie limitata e derivati da un quadro appositamente creato per l’azienda.
Questi oggetti, se ben valorizzati, stimolano in chi li riceve un profondo senso di orgoglio e appartenenza.
Sono grandi (140×140 cm), dai colori sgargianti, e polifunzionali: d’inverno al collo, d’estate come pareo o copricostume. Diventano motivo di conversazione e chi le riceve racconta con gioia la storia del proprio regalo.
Un’arte da indossare che… scalda il cuore.»
L’articolo Arvedo Arvedi, storia di un artista che crea quadri e tessuti all’ombra del Vesuvio proviene da IlNewyorkese.