L’aterosclerosi è una delle principali cause di malattie cardiovascolari nel mondo. È una condizione in cui le arterie si restringono e si induriscono a causa dell’accumulo di placche, e può portare a infarti e altri eventi gravi, spesso senza sintomi evidenti fino a quando non è troppo tardi.
Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Circulation Research propone un modo diverso di guardare al problema, spostando l’attenzione su due molecole lipidiche che hanno un ruolo importante nella salute dei vasi sanguigni: la sfingosina-1-fosfato (S1P) e le ceramidi.
Queste due molecole fanno parte della stessa “famiglia” (quella degli sfingolipidi), ma agiscono in modo opposto: la S1P tende a proteggere i vasi sanguigni, mentre le ceramidi sono associate a infiammazione e danni cellulari. Finora si è pensato che l’accumulo di ceramidi fosse un fattore chiave nello sviluppo dell’aterosclerosi. Ma secondo i ricercatori guidati da Onorina L. Manzo, le cose potrebbero essere più complesse.
I ricercatori hanno usato un modello animale per osservare cosa succede alle cellule endoteliali (quelle che rivestono l’interno dei vasi sanguigni) quando sono sottoposte a stress meccanico, come quello causato da un flusso sanguigno irregolare. Hanno visto che in queste condizioni le cellule tendono a produrre più S1P e meno ceramidi, attraverso un processo che coinvolge una proteina chiamata NOGO-B.
In particolare, nei topi in cui NOGO-B era stata eliminata geneticamente dalle cellule endoteliali, lo sviluppo delle placche aterosclerotiche era molto più limitato. Le arterie mostravano meno infiammazione, placche più stabili e una minore presenza di cellule immunitarie dannose.
Il risultato più interessante dello studio è che l’assenza di accumulo di ceramidi non impediva comunque lo sviluppo della malattia: non sono quindi l’unica causa del danno. Al contrario, spostare l’equilibrio del metabolismo cellulare verso la produzione di S1P sembrava avere un effetto protettivo.
Questo potrebbe aprire nuove possibilità sia per la diagnosi che per la terapia dell’aterosclerosi. Da un lato, misurare i livelli di S1P e ceramidi nel sangue potrebbe aiutare a prevedere il rischio cardiovascolare meglio del solo colesterolo. Dall’altro, intervenire sul metabolismo degli sfingolipidi – per esempio, inibendo selettivamente NOGO-B – potrebbe diventare una nuova strategia terapeutica.
Come spesso accade con gli studi di laboratorio, c’è ancora molta strada da fare prima che questi risultati possano essere applicati negli esseri umani. Saranno necessari altri studi per capire meglio i meccanismi coinvolti e valutare l’efficacia e la sicurezza di eventuali farmaci.
L’articolo Un nuovo modo per capire (e forse curare) l’aterosclerosi proviene da IlNewyorkese.