Da Selma a Montgomery: le leggendarie 54 miglia – 60 anni

Da Montgomery a Montgomery, partendo da Selma. Sembra strano, sembra uno scioglilingua mal riuscito, eppure c’è molto di più di quanto appaia a prima vista. Chi conosce bene la storia degli Stati Uniti d’America sa che questo 2025 non è solo un anno particolare per la controversa seconda presidenza di Donald Trump. No, è particolare perché in questi dodici lunghi mesi, anzi ormai nove, quasi alla fine di quello che ancora chiamiamo “nuovo anno”, si celebrano due anniversari fondamentali. Due ricorrenze da ricordare e, soprattutto, da comprendere e interiorizzare per cogliere il senso di una lotta che ha segnato un’epoca: quella per la giustizia e i diritti civili.

Diritti civili. Un’espressione che evoca battaglie leggendarie e figure altrettanto iconiche che non solo hanno fatto la storia, ma l’hanno scritta. Anzi, sono la Storia, con la “S” maiuscola. I loro nomi? Rosa Parks, Medgar Evers, Malcolm X e Martin Luther King. L’ordine in cui li menzioniamo non è casuale e non è dettato da un cortese “prima le donne”. No, c’è un motivo preciso: Rosa Parks viene citata per prima perché fu lei ad accendere la scintilla di una rivoluzione. Fu la sua resistenza, quel primo dicembre del 1955, a dare il via all’ondata di proteste, richieste e manifestazioni che segnarono la lotta per i diritti della comunità afroamericana.

E qui potremmo tirare in ballo la teoria delle “sliding doors”, le porte girevoli del destino. Se quella sera Rosa Parks, umile sarta di Montgomery, avesse ceduto il posto sull’autobus, tutta la successiva catena di eventi sarebbe mai accaduta? Avremmo mai assistito al 28 agosto 1963, giorno in cui Martin Luther King pronunciò il leggendario discorso “I Have a Dream”?

Forse stiamo enfatizzando troppo quegli avvenimenti, ma è inevitabile. Guardando il mondo di oggi e il modo in cui si affrontano le ingiustizie, viene naturale provare una certa nostalgia. Anche chi quegli anni non li ha vissuti, ma li ha conosciuti solo attraverso racconti di nonni e genitori, avverte il peso di quel passato.

Nell’agosto del 1963, Medgar Evers era già stato assassinato da qualche mese, mentre King, con quel discorso, si guadagnò il plauso mondiale e, un anno dopo, il Premio Nobel per la Pace. Era il dicembre del 1964. Qualche mese più tardi, dopo quasi un decennio di lotte che avevano portato a risultati concreti, come lo smantellamento delle leggi segregazioniste di Jim Crow, il movimento per i diritti civili puntò a un nuovo obiettivo: garantire agli afroamericani il diritto di voto.

Il problema? Negli Stati Uniti, registrarsi per votare significava anche poter essere chiamati a far parte delle giurie nei processi. Nel Profondo Sud, dove i crimini a sfondo razziale erano all’ordine del giorno, impedire il voto agli afroamericani significava anche escluderli dalle giurie. Il risultato era un sistema di “giustizia” che favoriva sempre i bianchi.

Ed eccoci al punto di partenza: da Montgomery a Montgomery, partendo da Selma. Due cittadine, la prima in Tennessee, la seconda in Alabama, separate da 54 miglia (circa 90 km). Il 7 marzo 1965, una domenica all’alba, iniziò la prima marcia da Selma per rivendicare il diritto di voto. Il primo tentativo si concluse con una brutale repressione da parte della polizia sul ponte Edmund Pettus. Le immagini della violenza fecero il giro del mondo. Fu una delle prime volte in cui un evento del genere venne trasmesso in diretta televisiva. Quella giornata passò alla storia come il “Bloody Sunday”.

Martin Luther King non era presente quel giorno. Per ragioni di sicurezza, dissero alcuni. Per motivi personali, suggerisce il film “Selma” di Ava DuVernay del 2014, che allude a tensioni con sua moglie Coretta.

Due giorni dopo, il martedì successivo, i manifestanti ci riprovarono. Questa volta King era con loro. Ma quando giunsero al confine di Montgomery, decise di non oltrepassarlo. Il motivo? Voleva che il presidente Lyndon Johnson si impegnasse concretamente per i diritti civili. La legge c’era, ma la sua applicazione sostanziale era ancora lontana.

La svolta arrivò dopo la seconda marcia, quando un pastore bianco venne assassinato dal Ku Klux Klan. La terza marcia, quella definitiva, iniziò il 16 marzo e si concluse il 24, con una processione fino al tribunale federale dell’Alabama. Fu una vittoria storica per il movimento per i diritti civili.

Sessant’anni dopo, molto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare. Non solo negli Stati Uniti. E di certo, il progresso non passerà attraverso i metodi odierni fatti di divisioni e conflitti. Serviranno dialogo, compassione e, soprattutto, quella determinazione che portò migliaia di persone a percorrere, nel marzo del 1965, quelle leggendarie 54 miglia.

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